IPNOSI E CURE PALLIATIVE

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) definisce “palliativa” quella branca della medicina che si occupa in maniera globale e proattiva dei pazienti affetti da patologie che non rispondono più ai trattamenti e che conducono alla morte. Il focus di questa disciplina è sul controllo del dolore, dei sintomi e delle conseguenze psicologiche, sociali e spirituali della malattia. Lo scopo delle cure palliative è dunque il raggiungimento della miglior qualità di vita possibile per i pazienti e per le loro famiglie. Questo tipo di medicina, in altre parole, non prevede il solo intervento medico ma può favorire un percorso di riconciliazione e pacificazione che comprenda sia il malato che le persone che lo circondano1. Trattandosi di una disciplina che vede il paziente come un “tutto” che esprime bisogni su diversi piani (medico-biologico, psicologico, esistenziale), è naturale che abbia incluso, tra gli strumenti terapeutici, approcci integrativi che comprendano il rapporto mente-corpo.
Da questo punto di vista l’ipnosi rappresenta uno strumento utile in quanto può essere applicato a diversi livelli nella gestione del malato terminale (R. Peynovska, 2005). Oltre a poter controllare i sintomi della malattia, che possono comprendere dolore o altri sintomi aspecifici come affaticabilità, irritabilità, insonnia o generiche sensazioni di malessere, può aiutare a gestire gli effetti collaterali dei trattamenti che, specie in patologie come il cancro, possono diventare molto invalidanti (es. vomito, rifiuto del cibo). Sul piano psicologico l’ipnosi può contribuire a controllare l’ansia, la depressione ed i sentimenti di rabbia, colpa, frustrazione ed isolamento tipici di queste condizioni. Infine, favorisce il miglioramento dell’autostima, il coinvolgimento attivo nel progetto di cura e la riacquisizione di controllo sulla propria vita.
Tra i pazienti affetti da cancro in stadio avanzato, l’84% riporta di essere afflitto da dolore intenso, il 49% difficoltà respiratorie ed il 33% nausea (C. Liossi, 2001), inoltre il trattamento di questi sintomi è spesso associato a effetti collaterali come costipazione indotta da oppioidi, delirio o stati di eccessiva sedazione. Molte di queste problematiche sono generalizzabili anche ad altre popolazioni di pazienti terminali come ad esempio gli affetti da sclerosi multipla: in questi il dolore è un sintomo molto diffuso, la vasta letteratura in materia ci restituisce delle stime che oscillano dal 40% all’80% (M.P.Jensen et al., 2009).
Oltre a difficoltà legate alla componente sintomatica della malattia, queste persone possono  trovare notevoli difficoltà nell’affrontare, accettare ed adattarsi all’idea della morte prossima. Questo, unito all’inevitabile modificazione della quotidianità, spesso può portare a depressione e stati d’ansia.
Soprattutto riguardo questi ultimi aspetti, interventi psicologici - di gruppo o individuali - hanno dimostrato di essere in grado di ridurre lo stress psicologico ed i sintomi depressivi, di migliorare la qualità di vita in pazienti affetti da cancro e persino di avere degli effetti positivi sul tasso di sopravvivenza (Spiegel & J.R., 1983; Spiegel et al., 1981; Spiegel et al., 1989; Walker et al., 1999). Tanti sono gli approcci sperimentati in quest’ambito, tra questi ricordiamo interventi esistenziali, familiari, supportivo-espressivi e cognitivo-comportamentali.
L’ipnosi clinica ha dimostrato di essere efficace sia nella cura dei bambini (Liossi, 2000; Liossi, 1999; Liossi & Hatira, 1999) che degli adulti (C. & Mystakidou, 1999) affetti di cancro. Gli effetti benefici comprendono un miglioramento della funzionalità del sistema immunitario (Fox et al., 1999; Gruzelier, n.d.), degli stati d’ansia, dolore, dispnea ed insonnia. In particolare, riguardo al dolore, i pazienti trattati con una combinazione di psicoterapia e auto-ipnosi beneficiano, oltre che di una riduzione dell’intensità del dolore (ottenuta anche da pazienti che seguono unicamente una psicoterapia), anche di una riduzione della frequenza e della durata degli episodi di dolore. Notevole anche il fatto che, in questi stessi pazienti, sia riscontrabile un aumento del tempo di sopravvivenza.
Nel tentativo di approfondire la conoscenza dei possibili benefici che l’ipnosi può portare a questi pazienti, Liossi (Liossi & White, 2001) ha messo a confronto in un trial randomizzato due gruppi di pazienti, il primo trattato con un protocollo standard ed il secondo con l’aggiunta di sedute di ipnosi. Il primo programma di cura comprendeva la gestione farmacologica del dolore e degli altri sintomi così come indicato dalla WHO più quattro sedute settimanali di mezz’ora di counseling supportivo di tipo cognitivo-esistenziale. Il secondo programma di cura, oltre a quanto già detto per il protocollo standard, comprendeva 4 sedute settimanali di 30 minuti ciascuna di ipnosi.
I risultati, in linea con studi precedenti (Spiegel et al., 1981; Spiegel & J.R., 1983; Moorey et al., 1998; Walker et al., 1999), dimostrano che il gruppo trattato con l’ipnosi ha avuto una maggiore riduzione dell’ansia e della depressione vissuta dai pazienti che hanno inoltre riportato una qualità di vita più alta soprattutto per quanto riguarda gli aspetti psicologici come il rapporto con la malattia. Questo aspetto acquista ancora più rilevanza se si pensa che variabili come lo stress psicologico in pazienti terminali rappresentano un fattore di rischio per lo sviluppo di condizioni psichiatriche come franchi disturbi d’ansia o depressivi. Anche dal punto di vista della sintomatologia fisica il gruppo trattato con l’ipnosi ha mostrato grandi miglioramenti.
Risultati analoghi sono replicati in altri studi (R. Peynovska, 2005; Rajasekaran et al., 2005) fornendo dati promettenti anche sulla gestione di aspetti problematici tipici del paziente terminale come i cambiamenti dell’immagine corporea, la perdita di funzionalità nelle attività quotidiane e l’inevitabile perdita di una quota di indipendenza. Soprattutto se il trattamento ipnotico viene cominciato al momento della diagnosi, il paziente può migliorare il suo adattamento alla malattia e quindi prevenire l’insorgenza di seri quadri ansiosi, depressivi e attacchi di panico. L’inizio precoce del trattamento inoltre favorisce l’aderenza alle cure e migliora la riposta psicologica generale, fattore prognostico collegato al tasso di sopravvivenza nel tempo.
Un altro modo attraverso il quale il paziente terminale può giovarsi dell’ipnosi è attraverso training di autoipnosi. Uno studio recente (M.P.Jensen et al., 2009) ha messo a confronto due gruppi di pazienti affetti da sclerosi multipla con dolore cronico. Il focus degli interventi nei due gruppi era proprio il dolore, e, mentre nel primo gruppo venivano insegnate delle tecniche di rilassamento muscolare progressivo, nel secondo i pazienti venivano addestrati all’utilizzo di tecniche di autoipnosi. I ricercatori hanno prestato molta attenzione a contenere eventuali effetti dovuti all’aspettativa su uno o sull’altro intervento comunicando ad entrambi i gruppi che sarebbe stato usato uno strumento che conteneva sia elementi ipnotici che di rilassamento. I risultati dimostrano che i pazienti che hanno ricevuto un training di autoipnosi hanno riportato una maggiore riduzione del dolore rispetto ai pazienti assegnati al gruppo di rilassamento muscolare progressivo nonostante le attese per l’efficacia dei due trattamenti fossero simili. All’interno del gruppo addestrato all’autoipnosi, mentre il livello di suggestionabilità si è dimostrato ininfluente sul risultato, un effetto lo ha avuto l’aspettativa positiva verso il trattamento, in altre parole, più le aspettative nei confronti dell’intervento erano alte, migliori erano i risultati ottenuti. Questo dato è coerente con l’ipotesi che le aspettative dei pazienti possono giocare un ruolo sia sugli effetti immediati che a lungo termine dell’analgesia ipnotica per il dolore cronico. In altre parole, conoscere le potenzialità dell’ipnosi può essere utile ai pazienti per raggiungere risultati più soddisfacenti.
A conclusione di questa rassegna riportiamo un interessante articolo (Cassileth & Keefe, 2010) che indaga gli approcci integrativi per il trattamento del dolore neuropatico correlato al cancro. Per dolore neuropatico si intende il dolore causato dalla diretta conseguenza di una lesione o malattia che colpisce il sistema somato-sensoriale. I pazienti affetti da cancro spesso soffrono di questo particolare tipo di dolore a causa della compressione dei nervi o a causa della neurotossicità della chemioterapia. I ricercatori riportano che attualmente non ci sono sostanze specifiche atte a contenere il dolore neuropatico, e gli agenti utilizzati comunemente tendono ad avere bassi tassi di successo (Santiago-Figueroa & Kuffler, 2009; U.S. Food and Drug Administration, 2009). Considerando che spesso si trascura che il dolore è un processo complesso che coinvolge l’intera unità psicosociale del paziente, diviene chiaro come sia necessaria una integrazione al trattamento del dolore. Molti sono gli aspetti su cui si può agire, un esempio proveniente dalla letteratura scientifica (Cassileth & Keefe, 2010) riporta che pazienti che tendono a catastrofizzare il dolore (rimuginandovi sopra o che si sentono senza speranza) sono più inclini a soffrire di dolore intenso. L’utilizzo di tecniche di autoipnosi permette al paziente di rilassarsi e di anestetizzare il dolore anche attraverso l’inquadramento del dolore in una cornice meno negativa. Uno studio in particolare (Jensen et al., 2009) dimostra che pazienti con dolore persistente addestrati all’uso dell’autoipnosi ottengono un rapido e notevole decremento del dolore che si mantiene stabile nel tempo.
Riassumendo, possiamo affermare che l’applicazione dell’ipnosi, nelle sue diverse forme, può essere estremamente utile a pazienti terminali in aspetti centrali per la loro esistenza come il contenimento concreto dei sintomi invalidanti, la gestione rapida ed a lungo termine del dolore e il fronteggiare le conseguenze esistenziali della malattia per ottenere una migliore qualità di vita, fattore associato, tra l’altro, al tasso di sopravvivenza nel tempo.


1. Cancer Pain Relief and Palliative Care", World Health Organization Technical Report Series, 804, 1990

 
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