QUANDO IL CERVELLO SI IMPIGLIA NELLA RETE

Internet addiction e neuroscienze

Spesso il computer e la navigazione internet diventano, oltre che compagni (forzati) di lavoro, anche compagni (voluti) di vita. Internet è cambiato molto nel corso delle nostre vite, passando da una prima “adolescenza” in cui era poco fruibile, dove si pagava ogni minuto di connessione, ad una “maturità” in cui la connessione è continua e pagata mensilmente. Inoltre la sua portabilità, negli ultimi anni, è aumentata fino a renderlo inseparabile (si pensi agli smartphones oramai alla portata di tutti). Se provassimo a chiederci: “potremmo vivere senza guardare la nostra mail o facebook?”, la risposta sarebbe probabilmente “sì, ma patendo molto” (o forse la risposta sarebbe negativa). Se da un lato, la maggiore fruibilità e portabilità di internet hanno permesso innumerevoli vantaggi, d’altra parte queste caratteristiche hanno aperto la strada ad un nuovo tipo di dipendenza: la dipendenza dalla rete (internet addiction in inglese).
Verso la fine degli anni novanta, si è iniziato ad osservare come alcuni utilizzatori potessero sviluppare una dipendenza da internet che presentava le stesse caratteristiche delle dipendenze “classiche” come quelle dovute al consumo di alcool e fumo, presentando dunque problemi a livello sociale, famigliare ed occupazionale [1](Young, 1996). In questo primo studio, una delle più interessanti scoperte fu che di per sé “internet” in quanto sistema globale di comunicazione, non porta ad una forma di dipendenza mentre le applicazioni più interattive sono il vero motivo della continua re-iterazione del comportamento di “consumo” (ovvero dell’utilizzo di internet). All’epoca sicuramente le applicazioni di questo genere erano rare ma oggi possiamo per esempio pensare ai social network (come facebook o twitter) o ancora ai giochi online che rapiscono molti adolescenti ed adulti.
La spiegazione neurologica di questo fenomeno di addiction potrebbe risalire al sistema di ricompensa cerebrale: un complesso sistema che sviluppato per “ricompensarci” per l’appunto quando compiamo determinate azioni funzionali nella nostra vita (come per esempio dissetarci o sfamarci).
Esperimenti condotti con la tomografia ad emissione di positroni e con la risonanza magnetica funzionale, due tecniche in grado di mostrare le aree cerebrali più attive durante un determinato compito, hanno indagato cosa accade nel cervello delle persone che soffrono di internet addiction. Questi studi hanno mostrato come individui affetti da questa dipendenza mostrassero livelli ridotti di recettori per la dopamina a livello del nucleo striato, una struttura del circuito cerebrale di ricompensa [2], e come in questi pazienti ci fosse una riduzione del volume di aree come la corteccia prefrontale dorsolaterale, la corteccia supplementare motoria e la corteccia cingolata anteriore, aree implicate nel controllo degli impulsi e nella gestione dei comportamenti diretti ad un obiettivo [3].
Ciò che emerge da questi studi di neuroimmagine è che l’internet addiction si comporterebbe in modo similare alle altre patologie come la dipendenza da alcool e da fumo, coinvolgendo le stesse aree cerebrali e neurotrasmettitori implicati in queste patologie[4].
Questa correlazione tra internet addiction e dipendenze da abuso di sostanze, apre la strada all’ipnosi che si è dimostrata un valido strumento nel campo delle dipendenze. Per esempio, è stato osservato come il trattamento con suggestioni ipnotiche, in combinazione con l’utilizzo dei canonici cerotti alla nicotina, sia più efficace di una terapia cognitivo comportamentale classica nell’abbassare la dipendenza dal fumo a lungo termine [5]. Nel caso delle dipendenze da alcool, è stato osservato come un trattamento in cui ad una psicoterapia è stato affiancato l’utilizzo dell’ipnosi abbia portato alla riduzione dell’uso di alcolici in 14 pazienti su 18 nell’arco di sette anni ed ha mostrato come questa assenza di abuso sia rimasta anche un anno dopo la fine della terapia [6].
Da questi studi emerge come l’ipnosi possegga un valore terapeutico importante quando affiancata a psicoterapie mirate ed individualizzate sulla persona, massimizzandone gli effetti sulle patologie di dipendenza e rendendola una strada percorribile nella cura dell’internet addiction, in grado di slegare i pazienti dalla rete nella quale sono impigliati.
 
Referenze
[1] Young, Kimberly S. “Internet Addiction: The Emergence of a New Clinical Disorder.” CyberPsychology & Behavior 1, no. 3 (January 1998): 237–44. doi:10.1089/cpb.1998.1.237.
[2] Schoenbaum, Geoffrey, Barry Setlow, Michael P. Saddoris, and Michela Gallagher. “Encoding Predicted Outcome and Acquired Value in Orbitofrontal Cortex during Cue Sampling Depends upon Input from Basolateral Amygdala.” Neuron 39, no. 5 (August 28, 2003): 855–67.
[3] Yuan, Kai, Wei Qin, Guihong Wang, Fang Zeng, Liyan Zhao, Xuejuan Yang, Peng Liu, et al. “Microstructure Abnormalities in Adolescents with Internet Addiction Disorder.” PLoS ONE 6, no. 6 (June 3, 2011): e20708. doi:10.1371/journal.pone.0020708.
[4] Yuan, Kai, Wei Qin, Yijun Liu, and Jie Tian. “Internet Addiction: Neuroimaging Findings.” Communicative & Integrative Biology 4, no. 6 (November 1, 2011): 637–39.
[5] Carmody, Timothy P., Carol Duncan, Joel A. Simon, Sharon Solkowitz, Joy Huggins, Sharon Lee, and Kevin Delucchi. “Hypnosis for Smoking Cessation: A Randomized Trial.” Nicotine & Tobacco Research: Official Journal of the Society for Research on Nicotine and Tobacco 10, no. 5 (May 2008): 811–18. doi:10.1080/14622200802023833.
[6] Potter, Greg. “Intensive Therapy: Utilizing Hypnosis in the Treatment of Substance Abuse Disorders.” The American Journal of Clinical Hypnosis 47, no. 1 (July 2004): 21–28.
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