LE NEUROSCIENZE TRA RICORDI E IPNOSI

Parlare di una persona significa essenzialmente parlare della storia di un essere umano. Nel momento in cui si evoca il ritratto personale di un cliente, di un amico o ancora di noi stessi non si può prescindere dal ricostruire ricordi. I ricordi sono, dal punto di vista evolutivo, una funzione essenziale per gli esseri umani poiché permettono di ritrovare soluzioni ben consolidate a problemi costanti nella vita quotidiana. Inoltre la memoria è stata oggetto di studio sia della psicologia clinica, materiale privilegiato di Sigmund Freud ed i suoi epigoni, sia delle neuroscienze dove, grazie al lavoro Erich R. Kandel (nobel per la medicina nel 2000), è stato possibile ipotizzare come la formazione di nuovi ricordi sia legata alle modificazioni fisiche delle sinapsi (punti di collegamento tra neuroni).
Anche grazie a questi prolifici filoni di ricerca il concetto generale di “memoria” è stato spesso suddiviso in diverse componenti, ri-formulato e perfezionato. Vale, in queste righe, ricordare almeno una fondamentale distinzione neuropsicologica (più volte dimostratasi valida) tra la memoria dichiarativa, presente alla consapevolezza e di facile verbalizzazione (“cosa ho mangiato oggi?”), e la memoria procedurale, osservabile nel comportamento e difficile da verbalizzare (pensiamo per esempio a tutto ciò che facciamo per guidare l’auto).
In una recente review1 sono stati messi a confronto i risultati di differenti studi (compresi molti condotti dallo stesso gruppo di ricerca) in merito ai cambiamenti cerebrali indotti dall’ipnosi rispetto alla meditazione. Gli autori differenziano le due diverse tecniche ricordando in particolare come nell’ipnosi ci sia una forte suggestionabilità che permette il riaffiorare di ricordi soppressi. Questo  processo viene utilizzato nella terapia ipnotica per permettere ai clienti di poter rievocare una determinata esperienza, difficile da recuperare altrimenti, con tutte le sue componenti percettive ed emotive. La raccolta dati degli autori ha mostrato come l’ipnosi, a livello di onde cerebrali, sia caratterizzata delle frequenze alfa (tipiche della veglia rilassata) soprattutto a livello dei lobi temporali e centrali. Inoltre, l’attività ipnotica produce un’attività diffusa ad entrambi gli emisferi rispetto alle onde theta (tipiche dell’immaginazione e del sogno). Utilizzando la PET (tomografia ad emissione di positroni) gli autori hanno, inoltre, studiato il processo di apprendimento, utilizzando un compito di rievocazione di parole ad alto contenuto immaginativo. Grazie a questa tecnica di brain imaging, è stato possibile individuare le aree attive durante l’ipnosi (rispetto alla meditazione), mostrando una pronunciata attività bilaterale nelle cortecce occipitali e prefrontali associata ad una performance mnemonica molto più alta durante l’attività ipnotica rispetto alla meditazione.
Un secondo aspetto, molto studiato, riguarda le memorie intrusive. Tali fenomeni sono propri di diversi disturbi, come il disordine postraumatico da stress, i disturbi ossessivo-compulsivi, la depressione e le fobie. Caratteristiche che accomunano queste memorie sono l’involontarietà della loro manifestazione ed il significativo disagio che inducono. Diversi studi hanno dimostrato come l’ipnosi possa essere un utile modello per lo studio di queste intrusioni. In particolare in un recente lavoro2 è stata valutata la capacità dell’ipnosi nell’elicitare memorie intrusive. A soggetti ipnotizzabili è stato chiesto di descrivere un personale evento spiacevole. Durante l’ipnosi un gruppo di soggetti (gruppo amnesia postipnotica) ha ricevuto la suggestione di ricordare l’evento spiacevole in seguito ad un particolare stimolo (ad esempio una parola o un suono). Ad un secondo gruppo (gruppo rievocazione intenzionale) invece veniva chiesto di ricordare l’evento spontaneamente, appena svegli. Dopo la fase ipnotica i soggetti hanno completato un compito cognitivo in cui veniva presentato il particolare stimolo associato all’evento. I risultati hanno dimostrato come il gruppo amnesia postipnotica abbia rievocato l’evento in modo intrusivo, involontario e con un elevato grado di spiacevolezza rispetto al gruppo rievocazione intenzionale. Inoltre, il successivo compito cognitivo è risultato più difficile per il primo gruppo a causa dell’interferenza delle memorie intrusive.
L’ipnosi perciò può ricoprire un duplice ruolo nel “mare” composto dagli studi sulla memoria: da un lato può servire nella pratica clinica per il recupero ed il potenziamento di ricordi di fondamentale importanza, d’altra parte può essere uno strumento per la comprensione di quei fenomeni presenti nella ricerca sul rapporto mente-cervello e di difficile comprensione per le scienze neurobiologiche.
 

Bibliografia
[1] Halsband U., Mueller S., Hinterberger T., Stickner S. (2009). Plasticity changes in the brain in hypnosis and meditation. Contemporary Hypnosis, 26(4): 194–215.
[2] Hill Z., Hung L., Bryant R.A. (2010). A hypnotic paradigm for studying intrusive memories. J. Behav. Ther. & Exp. Psychiat. 41: 433-437.
LE NEUROSCIENZE TRA RICORDI E IPNOSI