LA MEMORIA DEI TRAUMI TRA NEURONI E LINGUAGGIO

Parafrasando il DSM-IV (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), un “trauma” corrisponde all’esperienza personale diretta di un evento che ha comportato o avrebbe potuto comportare severe conseguenze fisiche, compresa la morte, a se stessi oppure ad un’altra persona cara o semplicemente conosciuta. Quella del DSM è una definizione molto concreta che trascura variabili soggettive che possono avere grande importanza nel momento dell’esposizione al trauma e nella sua successiva elaborazione. Infatti, molti dei pazienti traumatizzati che giungono all’osservazione clinica presentano sindromi post-traumatici anche in assenza di veri e propri danni oggettivi. Questo che fa ipotizzare che tale fenomeno non sia generato semplicemente da un evento oggettivo ma dall’interpretazione traumatica dello stesso. Un trauma viene tradotto, come tutte le esperienze della nostra vita, in attività neurale. Uno degli effetti più noti è la produzione di catecolamine (adrenalina e noradrenalina, composti chimici prodotti dalla ghiandola surrenale) che provocano, a cascata, un aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico. Questo sistema, generalmente al di fuori del controllo consapevole, si attiva in situazioni di pericolo o di agitazione psico-fisica. Inoltre, i livelli degli oppioidi endogeni, sostanze che generalmente inibiscono la trasmissione neuronale, risultano estremamente elevati a seguito dell’esposizione ad un’esperienza traumatica. Questa alta concentrazione può interferire con l’acquisizione di nuovi ricordi1. Inoltre, l’esposizione ripetuta a certi tipi di eventi stressanti modifica l’adattamento di questi composti chimici rendendo semi-permanenti i cambiamenti descritti a causa degli effetti prodotti su strutture cerebrali deputate alla decodifica di eventi carichi emotivamente ed al loro immagazzinamento. La memoria di una esperienza traumatica, infatti, è codificata a livello cerebrale in un modo differente rispetto ad una esperienza normale. È per questo motivo che le memorie traumatiche sono spesso confuse ma difficili da dimenticare. Uno studio condotto nel 2005 su modelli animali ha dimostrato che gli eventi emozionalmente neutri vengono ricordati solo per un breve periodo di tempo e non vengono immagazzinati nella cosiddetta memoria a lungo termine. D’altra parte, gli stimoli emotivamente carichi e stressanti, come per esempio una situazione di terrore, vengono ricordati per lungo tempo anche solo dopo una singola esperienza grazie all’attivazione dell’amigdala (una struttura a forma di mandorla situata nel lobo temporale, deputata all’elaborazione di stimoli emotivi) e di altre aree più direttamente deputate alle funzioni mnestiche come l’ippocampo (principale area per l’acquisizione di nuove memorie)2. Oltre al lobo temporale, le esperienze traumatiche colpiscono altre aree corticali. Per esempio, uno studio in cui sono state collezionate risonanze magnetiche del cervello di bambini e adolescenti vittime di abuso ha mostrato in queste atrofia corticale ed allargamento dei ventricoli cerebrali (la larghezza dei ventricoli indica di solito una riduzione del volume della corteccia cerebrale). Gli autori della ricerca hanno osservato in questo gruppo di soggetti affetti da stress post-traumatico, una riduzione del volume della corteccia prefrontale, del lobo temporale e del corpo calloso3. La riduzione di volume delle aree frontali potrebbe essere collegata ad una interferenza nella capacità di pianificare risposte a situazioni nuove e non stereotipate, in particolare ad una riduzione della capacità di valutazione e risposta a minacce esterne. Questi problemi legati all’elaborazione del trauma e delle situazioni avverse che possono verificarsi dopo l’esperienza traumatica portano i soggetti vittime di gravi traumi a trovarsi in difficoltà nell’instaurare relazioni d’aiuto con personale clinico. Infatti, sembra che nelle persone affette da disturbo post-traumatico da stress (PTSD), l’area di Broca, situata nel lobo frontale di sinistra, sia meno attiva rispetto a chi non ha subito esperienze traumatiche4. Quest’area, tra le più studiate nel campo delle neuroscienze, è classicamente definita come l’area della parola in quanto deputata alla produzione linguistica. Un’interferenza a livello di questa struttura può portare a difficoltà di espressione ed allo sviluppo di ansia legata a situazioni in cui è richiesto di verbalizzare esplicitamente una memoria traumatica. Nonostante ciò, sembra che la psicoterapia possa agire sulle medesime aree frontali colpite dai traumi, rinvigorendole. Grazie alla risonanza magnetica funzionale, infatti, è stato possibile dimostrare come solo dopo sedici sedute di psicoterapia, i pazienti affetti da PTSD, oltre ad un recupero soggettivo, mostrassero una minore attivazione delle aree prefrontali, iperattivate prima della terapia5. L’instaurarsi di una relazione d’aiuto sembra dunque essere utile per il trattamento dell’esperienza post-traumatica e per il recupero di funzioni psicologiche e relazionali fondamentali per il benessere dell’individuo.


Bibliografia

1.
Sweeney, Daniel. “The Neurobiology of Psychic Trauma and Treatment Considerations.
” Christian Counseling Connection, 2007.

2.
McIntyre, Christa K, Teiko Miyashita, Barry Setlow, Kristopher D Marjon, Oswald Steward, John F Guzowski, and James L McGaugh. “Memory-influencing intra-basolateral amygdala drug infusions modulate expression of Arc protein in the hippocampus.” Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America 102, no. 30 (July 26, 2005): 10718–10723. doi:10.1073/pnas.0504436102.
3.
De Bellis, Michael D., Matcheri S. Keshavan, Heather Shifflett, Satish Iyengar, Sue R. Beers, Julie Hall, and Grace Moritz. “Brain Structures in Pediatric Maltreatment-related Posttraumatic Stress Disorder: a Sociodemographically Matched Study.” Biological Psychiatry 52, no. 11 (December 1, 2002): 1066–1078.
doi:10.1016/S0006-3223(02)01459-2.

4.
Rauch, S L, B A van der Kolk, R E Fisler, N M Alpert, S P Orr, C R Savage, A J Fischman, M A Jenike, and R K Pitman. “A symptom provocation study of posttraumatic stress disorder using positron emission tomography and script-driven imagery.” Archives of general psychiatry 53, no. 5 (May 1996): 380–387.
5.
 Lindauer, R J L, J Booij, J B A Habraken, E P M van Meijel, H B M Uylings, M Olff, I V E Carlier, G J den Heeten, B L F van Eck-Smit, and B P R Gersons. “Effects of psychotherapy on regional cerebral blood flow during trauma imagery in patients with post-traumatic stress disorder: a randomized clinical trial.” Psychological medicine 38, no. 4 (April 2008): 543–554. doi:10.1017/S0033291707001432.
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