NEUROSCIENZE E SUGGESTIONE

UNA RASSEGNA STORICA
 
Lungi dall'essere una carrellata esaustiva, questa breve rassegna storica vuole semplicemente dare l'idea degli articoli che hanno provato a spiegare cosa accade quando il nostro cervello riceve una suggestione o reagisce all'influenza del contesto. Si concluderà citando alcuni tra i più interessanti lavori che hanno tracciato i correlati neuroanatomici dell'ipnosi.
 
Forer BR (1949). The fallacy of personal validation: A classroom demonstration of gullibility. Journal of Abnormal and Social Psychology. 44, 118-123.
In questo studio, Betram R. Forer, per primo dimostrò il ruolo dell’aspettativa nella visione della propria immagine personale. Dopo aver lavorato durante la Seconda Guerra Mondiale come psicologo, nel 1948 produsse un esperimento basato sulle predizioni dell’oroscopo. Somministrò a differenti studenti universitari una serie di domande di personalità (sulla visione di se stessi e del proprio carattere). In seguito diede i risultati del test agli studenti aggiungendo un piccolo “trucco”: tutti i risultati erano uguali ed erano stati tratti dalla stessa paginetta di oroscopo pubblicata su di un quotidiano. Gli studenti vennero poi invitati a dare un giudizio su questa descrizione del loro carattere (ricordiamo ancora una volta: uguale per tutti e totalmente inventata!) tra 0 (descrizione scadente) a 5 (descrizione perfetta). La media dei voti fu di 4.26. Questo risultato dimostrò per la prima volta come una persona possa immedesimarsi in un giudizio su di sé quando questo viene creduto scritto apposta per lui; inoltre tenderà a renderlo preciso ed accurato nella sua mente per ricucirlo sulla propria personalità!
L’”effetto Forer” è noto da tempo in psicologia ed è stato più volte confermato in differenti esperimenti. E’ conosciuto anche come “effetto Barnum” (da P.T. Barnum, un famosissimo imprenditore e circense statunitense).
 
Beecher HK (1955). The Powerful Placebo. Journal of the American Medical Association. 159, 17.
L’articolo di Henry Beecher, del 1955,  è ancora uno dei più citati quando si parla di effetto placebo. Per effetto placebo intendiamo ogni effetto attribuibile ad un farmaco o procedura che non sia dovuto ai suoi principi attivi o proprietà specifiche: in questo viene incluso ovviamente il linguaggio utilizzato da chi somministra il farmaco e l’ambiente di somministrazione stesso. Normalmente il termine viene utilizzato per definire alcuni farmaci senza principio attivo, placebo per l’appunto, utilizzati per controllare l’effetto di uno specifico prodotto farmaceutico. Quando si parla di effetto placebo, perciò, ci si riferisce ad un concetto molto più variegato di ciò che si possa pensare.
Beecher, per primo, riuscì a dimostrare (tenendo in considerazione una quindicina di trial clinici aventi come oggetto differenti patologie) come più del trenta per cento dei pazienti, nella clinica, avessero giovato di benefici non dovuti alla terapia stessa ma alla “semplice” somministrazione di placebo. Nonostante, nel corso degli anni, si siano affastellate un grande numero di critiche metodologiche allo studio di Beecher: quest’ultimo ha  l’indubbio merito di aver spostato l’attenzione dei clinici sull’importanza del contesto in cui si svolge la terapia. Una frase di Beecher risulta particolarmente illuminante: “… Non bisogna supporre che l’azione del placebo sia limitata a risposte ‘psicologiche’. Molte risposte potrebbero essere dovute a cambiamenti ‘fisiologici’, cambiamenti oggettivi …”.
 
Schachter S & Singer J (1962). Cognitive, Social, and Physiological Determinants of Emotional State. Review, 69, 379–399.
Stanley Schachter e Jerome Singer produssero un esperimento che descrisse l'importanza del senso cognitivo attribuito ad una situazione e di come fosse possibile cambiare questa “visione delle cose” grazie all'uso delle parole e del contesto.  
Nel loro studio vennero divisi 184 partecipanti in due primi gruppi: un gruppi di controllo ed un gruppo sperimentale. I due gruppi erano stati avvisati che avrebbero provato un farmaco: il Suproxin (in realtà inesistente). Il primo gruppo, di controllo, ricevette un placebo, ovvero una sostanza priva di principi attivi mentre il secondo gruppo, sperimentale, ricevette una piccola dose di adrenalina e venne diviso in ulteriori tre gruppi a seconda delle informazioni ricevute. Il gruppo sperimentale informato sapeva che il Suproxin (in realtà composto da adrenalina) avrebbe alterato il ritmo cardiaco ed avrebbe portato ad una respirazione più veloce e tremiti. Al secondo gruppo sperimentale, definito non informato, venne detto che il farmaco non aveva alcun effetto. Infine all'ultimo gruppo sperimentale, informato inadeguatamente, venne detto di aspettarsi sintomi improbabili legati al Suproxin (tra cui prurito e mal di testa). Schachter e Singer formarono l'ipotesi che gli ultimi due gruppi (non informato e mal informato), non avendo informazioni sufficienti sul farmaco avrebbero cercato nel contesto circostante i motivi per spiegare le loro sensaioni corporee (ricordiamo che questi due ultimi gruppi erano comunque parte del campione sperimentale e dunque ricevevano una dose di adrenalina). 
A questo punto, l'ultimo tocco di classe dei ricercatori fu aggiungere, nella stanza dove i soggetti dello studio stavano compilando un questionario, un complice che mostrava esagerate espressioni di rabbia oppure allegria. I risultati dell'esperimento furono chiari: i soggetti dei due gruppi con informazioni inadeguate sul Suproxin oppure senza alcuna informazione, tendevano a seguire l'umore del complice. Quando quest'ultimo si arrabbiava si sentivano anche loro aggressivi ed indignati mentre quando il complice manifestava frivolezza questi soggetti diventavano euforici. Al contrario, i soggetti del gruppo ben informato, sapendo che le loro sensazioni (palpitazioni, sudorazione etc...) erano prodotte dal Suproxin/adrenalina spiegavano adeguatamente il loro stato fisiologico attribuendolo al farmaco e tendevano a non imitare il complice nei suoi stati emotivi.
 
Craiselneck HB, McCranie EJ & Jenkins MT (1956). Special indications for hypnosis as a method anaesthesia. Journal of the American Medical Association. 162, 1606-1608. 
I primi dati sulle basi neurofisiologiche dell'ipnosi vennero ottenuti mediante la registrazione delle onde cerebrali attraverso l'elettroencefalogramma (EEG) oppure grazie a tecniche elettrofisiologiche in situazioni precedenti ad una operazione chirurgica. Una delle aree più studiate fu il sistema limbico, composto di aree corticali e sottocorticali (tra cui ippocampo ed amigdala) deputate al processamento delle emozioni.
In questo lavoro, scritto da Craiselnek e collaboratori nel 1956 troviamo un primo resoconto: gli autori, lavorando con pazienti epilettici in situazioni pre-chirurgiche, riuscivano ad interrompere lo stato alterato di rilassamento dovuto ad una induzione ipnotica, stimolando con degli elettrodi l’ippocampo nel lobo temporale. Questa struttura, insieme all’amigdala, sembra rivestire una particolare importanza nello spostamento dell’attenzione e nella reazione verso stimoli carichi emotivamente: infatti, è noto come l’amigdala regoli principalmente l’attività di orientamento verso stimoli nuovi mentre l’ippocampo agisca sull’abitudine verso stimoli ripetuti. In effetti, è noto in letteratura come entrambi i processi siano fondamentali in ipnosi: infatti uno dei propositi dello stato ipnotico consiste nel gestire gli stimoli irrilevanti e spostare le risorse attentive verso alcuni stimoli che rappresentano la fonte di informazione principale.
Oltre a descrivere una delle principali tecniche di studio del cervello in “vivo” dell'epoca, questo articolo pose l'accento su alcune definite aree cerebrali ben definite in merito alle suggestioni ipnotiche.
 
De Pascalis V (1999). Psychophysioligical correlates of hypnosis and hypnotic susceptibility. International Journal of Clinical and Experimental Hypnosis. 47 (2), 117-143.
All’interno degli studi psicofisiologici si è iniziato di tracciare una linea di demarcazione tra i soggetti ad alta e bassa suscettibilità ipnotica ovvero tra i soggetti in grado di rispondere meglio ( o peggio) alle suggestioni ipnotiche. 
De Pascalis, in questo ambito, ha indagato la cosiddetta “banda gamma”. La banda gamma è un complesso di onde che oscillano tra i 25 ed 100 Hz (in media 40 Hz) che si suppone sia coinvolto nei processi di focalizzazione dell'attenzione consapevole (focused arousal) ed in generale nell'unificazione delle diverse percezioni coscienti (è presente come attività diffusa su tutta la corteccia cerebrale). utilizzando un paradigma di rievocazione di esperienze emotive. L'autore ha dimostrato che nei soggetti ad alta suscettibilità, durante la rievocazione di esperienze felici, avviene un aumento della onde gamma nelle regioni posteriori di entrambi gli emisferi mentre, per ciò che riguarda la rievocazione di materiale contente esperienze paurose o di rabbia, è stato rilevato un aumento di densità del segnale elettrico sull'emisfero destro in concomitanza con la riduzione della densità nelle aree posteriori sinistre. Queste differenze non sono state riscontrate nei soggetti a bassa suscettibilità, mentre nei soggetti maggiormente suscettibili le differenze del segnale elettrico diventavano significativamente maggiori durante lo stato ipnotico rispetto alla rievocazione di materiale in situazione neutra. In un articolo recente, lo stesso autore ha somministrato degli stimoli dolorosi (elettrici) a soggetti ad alta, media e bassa suscettibilità ipnotica dimostrando come i primi ottengano sotto ipnosi una riduzione del dolore e dello stress percepito superiore ai soggetti a media e bassa suscettibilità: questa percezione analgesica è correlata strettamente alla riduzione della onde gamma nelle aree frontali (De Pascalis et al., 2004).
 
Mészáros I & Szabó C (1999). Correlation of EEG asymmetry and hypnotic sysceptibility.  Acta physiologica Academiae Scientiarum Hungaricae, 86(3-4), 259-263.
Differenti ricerche hanno invece indagato il collegamento tra lateralizzazione cerebrale e stato ipnotico mostrando inizialmente una forte correlazione tra la maggiore attivazione dell’emisfero destro e l’alta suscettibilità ipnotica. 
Questo articolo si muove in questa direzione ed inoltre dimostra per la prima volta la differenza (a livello cerebrale) di induzioni ipnotiche di stampo differente. Mészáros e Szabó, nel loro studio, si concentrano sulla suscettibilità ipnotica, mostrando come la regione parieto-temporale destra dei soggetti ad alta suscettibilità presenti una maggiore potenza elettrica (calcolata come media del segnale registrato) rispetto alla corteccia sinistra, mentre i soggetti a bassa suscettibilità presentano una predominanza sinistra o un equilibrio in tutte le derivazioni (aree utilizzate per registrare il segnale elettrico) tra gli emisferi. Utilizzando, però, un'induzione ipnotica indiretta (di stampo ericksoniano) la stessa preponderanza destra nel segnale elettrico può essere registrata nei soggetti a bassa suscettibilità mostrando una fondamentale importanza dell'area associativa parieto-temporale nell'induzione ipnotica ed al tempo stesso dimostrando una sostanziale differenza tra le induzioni di stampo classico e quelle indirette.
 
Maquet P, Faymonville ME, Degueldre C, Delfiore G, Franck G, Luxen A, Lamy M (1999). Functional neuroanatomy of hypnotic state. Biological Psychiatry, 45, 327-333.
Gli studi più recenti sui correlati neuroanatomici dell'ipnosi provengono dalle tecniche di imaging cerebrale moderne basate sul flusso sanguigno: tecniche grazie alle quali è possibile visualizzare la maggiore o minore attività di un’area cerebrale durante un compito cognitivo specifico.
In questo lavoro di Maquet, uno dei primi studi condotti con la PET (Positron Emission Tomography), è stata utilizzata un’induzione ipnotica basata sul ricordo di materiale autobiografico per cercare di osservare quali aree fossero più attive durante lo stato ipnotico. Come situazione di controllo è stata utilizzata la rievocazione di ricordi autobiografici non indotta da suggestioni ipnotiche. In accordo con studi precedenti la semplice rievocazione di memorie autobiografiche, in assenza di induzione, ha attivato aree temporali e medio temporali collegate alla rielaborazione di episodi passati. Diversamente da questa situazione di controllo, durante lo stato ipnotico, è stata osservata un’attivazione molto vasta che ha coinvolto aree occipitali, parietali, precentrali e prefrontali oltre che la corteccia cingolata. Inoltre, queste regioni attive durante l’ipnosi non erano sovrapponibili a quelle della situazione di controllo. Il risultato ha permesso di dimostrare come dopo l’induzione ipnotica ciò che accade non sia soltanto una rievocazione di materiale dalla memoria ma piuttosto un reclutamento di aree sensoriali e motorie che si attivano, come durante le normali percezioni e l’esecuzione di atti motori, in assenza però di input (stimoli visivi o tattili per esempio) o output (movimenti effettivamente eseguiti) esterni. Come proposto dagli autori, l’elaborazione percettiva in assenza di input a livello di aree parieto-occipitali, in ipnosi, ricorda i processi di immaginazione mentale. Per esempio, l’attivazione di aree maggiormente frontali conferma inoltre la somiglianza con i compiti di motor imagery dove aree considerate motorie si attivano per la semplice immaginazione in assenza di esecuzione vera e propria. La corteccia cingolata è invece una struttura coinvolta nei processi di spostamento dell’attenzione, e la sua attivazione può essere ben collegata con l’interpretazione dell’ipnosi come strumento capace di focalizzare il soggetto verso un evento che diventa particolarmente rilevante.
 
Derbyshire SWG, Whalley MG, Oakley DA (2009). Fibromyalgia pain and its modulation by hypnotic and non-hypnotic suggestion: An fMRI analysis. European Journal of Pain. 13, 542 – 550.
In questo recente esperimento è stato mostrato come sia possibile modulare il dolore grazie all’ipnosi in pazienti affetti da fibromialgia (patologia che ha tra i suoi sintomi dolore muscolare cronico e rigidità) e sono stati studiati, grazie alla risonanza magnetica funzionale (Fmri), i correlati neurali di questa modulazione. Le suggestioni di analgesia sono state date sia durante un’induzione ipnotica sia al di fuori da essa: i risultati hanno mostrato come in entrambe le condizioni i pazienti abbiano potuto ottenere maggiore controllo sul dolore ma solo nella seconda condizione (durante l’ipnosi) è stata riportata una significativa riduzione della sensazione dolorifica. La risonanza magnetica ha riscontrato attivazioni cerebrali a livello di diverse aree come il mesencefalo, il cervelletto, il talamo, la corteccia cingolata ed anche a livello della corteccia sensoriale primaria e secondaria, nonché insulare, parietale e prefrontale. Le attivazioni, seppur presenti in entrambe le condizioni, sono state molto più elevate per le suggestioni analgesiche date durante l’induzione dello stato ipnotico, soprattutto a livello della corteccia cingolata anteriore, dell’insula anteriore e posteriore, del cervelletto e della corteccia parietale inferiore. In letteratura, queste aree sono strettamente collegate ad un particolare network cerebrale, chiamato “matrice del dolore” (pain matrix), indispensabile per l’elaborazione degli stimoli nocivi negli esseri umani.
 
Gli articoli che abbiamo raccolto sono solo alcune delle pietre con cui è stato costruito l’intricato sentiero di collegamento tra le suggestioni (verbali ma anche legate all’aspettativa rispetto all’ambiente) ed il cervello. Ovviamente, il percorso è ancora in divenire sia dal lato degli studi sull’ipnosi sia per ciò che riguarda lo studio dei circuiti cerebrali. Possiamo, però, già affermare, grazie a questi lavori, come la mente possa essere considerata “incarnata” nel senso di intrinsecamente legata al corpo e le sue sensazioni. Utilizzare l’ipnosi (ma anche agire in un determinato setting) significa, in questo senso, mettersi in relazione con il sistema nervoso dell’interlocutore ed ascoltare le risposte che quest’ultimo fornisce.
 
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