CERVELLO E CURE PALLIATIVE
Questa distinzione chiarisce l’importanza degli aspetti prettamente psicologici ed emozionali coinvolti nella percezione dolorifica. Il contesto in cui viene somministrata la terapia è, dunque, fondamentale ed è rappresentato principalmente dalla relazione con il terapeuta. Se il farmaco è lo strumento di cura della malattia, la parola ed il contesto relazionale rappresentano la principale risorsa nel gestire il malato.
In unDa un punto di vista anatomico i processi che governano l’esperienza dolorifica coinvolgono due distinti circuiti: un circuito laterale, responsabile degli aspetti discriminativi e sensoriali, ed un circuito mediale, coinvolto negli aspetti emotivi di percezione della spiacevolezza dell’esperienza e, in generale, della sofferenza. A livello corticale, il primo circuito raggiunge due aree situate nel lobo parietale, note come corteccia somatosensoriale primaria (S1) e secondaria (S2), mentre il secondo proietta a regioni più frontali, come la corteccia cingolata anteriore[1].
o studio recentemente pubblicato su Science Translational Medicine, condotto da Bingel[2] e collaboratori, tutti i partecipanti hanno ricevuto un trattamento analgesico con un oppiaceo (remifentanil) accompagnato però da diverse informazioni riguardanti il trattamento stesso.
1) Un primo gruppo di soggetti sapeva di ricevere il farmaco, ed era correttamente informato riguardo alla somministrazione dell’analgesico ricevendo, in questo modo, un’aspettativa di riduzione del dolore (gruppo open analgesico).
2) Un secondo gruppo non sapeva di ricevere l'analgesico che, infatti, veniva somministrato all’insaputa dei partecipati. Di conseguenza i soggetti non avevano alcuna aspettativa riguardo agli effetti analgesici del trattamento (gruppo hidden senza aspettative analgesiche).
3) Il terzo gruppo, invece, riceveva informazioni opposte riguardo alla somministrazione del farmaco, aspettandosi quindi un effetto iperalgesico (gruppo open iperalgesia)
I risultati hanno dimostrato che i pazienti che sapevano di ricevere un potente analgesico riportavano una riduzione doppia del dolore rispetto a chi non riceveva informazioni. Tale analgesia era associata ad una riduzione dell’attività proprio a livello di S1 e della corteccia cingolata. Viceversa, aspettative negative abolivano completamente l’effetto farmacologico ed erano associate ad un aumento di attività a livello dell’ippocampo.
Uno degli aspetti che chi segue i malati terminali più frequentemente si trova a gestire è il controllo del dolore. Accompagnare un malato terminale è un compito estremamente difficile: da un lato comporta il prestare attenzione all’adeguato bilanciamento del trattamento farmacologico, dall’altro coinvolge la gestione delle paure e degli stati emozionali del malato. I risultati di Bingel confermano inoltre l'importanza delle aspettative positive sul successo della terapia. Ciò significa affiancare ad una cura rivolta alla malattia, una cura rivolta alla persona nella sua interezza: questo è il ruolo della medicina palliativa.
In unDa un punto di vista anatomico i processi che governano l’esperienza dolorifica coinvolgono due distinti circuiti: un circuito laterale, responsabile degli aspetti discriminativi e sensoriali, ed un circuito mediale, coinvolto negli aspetti emotivi di percezione della spiacevolezza dell’esperienza e, in generale, della sofferenza. A livello corticale, il primo circuito raggiunge due aree situate nel lobo parietale, note come corteccia somatosensoriale primaria (S1) e secondaria (S2), mentre il secondo proietta a regioni più frontali, come la corteccia cingolata anteriore[1].
o studio recentemente pubblicato su Science Translational Medicine, condotto da Bingel[2] e collaboratori, tutti i partecipanti hanno ricevuto un trattamento analgesico con un oppiaceo (remifentanil) accompagnato però da diverse informazioni riguardanti il trattamento stesso.
1) Un primo gruppo di soggetti sapeva di ricevere il farmaco, ed era correttamente informato riguardo alla somministrazione dell’analgesico ricevendo, in questo modo, un’aspettativa di riduzione del dolore (gruppo open analgesico).
2) Un secondo gruppo non sapeva di ricevere l'analgesico che, infatti, veniva somministrato all’insaputa dei partecipati. Di conseguenza i soggetti non avevano alcuna aspettativa riguardo agli effetti analgesici del trattamento (gruppo hidden senza aspettative analgesiche).
3) Il terzo gruppo, invece, riceveva informazioni opposte riguardo alla somministrazione del farmaco, aspettandosi quindi un effetto iperalgesico (gruppo open iperalgesia)
I risultati hanno dimostrato che i pazienti che sapevano di ricevere un potente analgesico riportavano una riduzione doppia del dolore rispetto a chi non riceveva informazioni. Tale analgesia era associata ad una riduzione dell’attività proprio a livello di S1 e della corteccia cingolata. Viceversa, aspettative negative abolivano completamente l’effetto farmacologico ed erano associate ad un aumento di attività a livello dell’ippocampo.
Uno degli aspetti che chi segue i malati terminali più frequentemente si trova a gestire è il controllo del dolore. Accompagnare un malato terminale è un compito estremamente difficile: da un lato comporta il prestare attenzione all’adeguato bilanciamento del trattamento farmacologico, dall’altro coinvolge la gestione delle paure e degli stati emozionali del malato. I risultati di Bingel confermano inoltre l'importanza delle aspettative positive sul successo della terapia. Ciò significa affiancare ad una cura rivolta alla malattia, una cura rivolta alla persona nella sua interezza: questo è il ruolo della medicina palliativa.
[1] Willis WD, Westlund KN. Neuroanatomy of the pain system and the pathways that modulate pain. J Clin Neurophysiol 1997; 14: 2–31.
[2] Bingel U, et al. The effect of treatment expectation on drug efficacy: imaging the analgesic benefit of the opioid Remifentanil. Sci Transl Med 2011; 3: 70ra14.