IPNOSI E RIABILITAZIONE DELL'ICTUS

Recenti studi, dimostrano che l'ipnosi costituisce un valido supporto alla riabilitazione che segue un ictus (Priftis e colleghi, 2011, Cagiada e colleghi, 2012). Sempre più studi pongono l'attenzione sull'importanza di prendere in considerazione le emozioni nei programmi di riabilitazione. Secondo recenti studi (Ostir, Berges, Ottenbacher, Clow, & Ottenbacher, 2008), uno dei fattori più importanti nella previsione dei risultati finali della riabilitazione in seguito ad ictus sono proprio le emozioni positive. Le persone che riescono a combattere le emozioni negative e l'ansia riescono mantenere alta la motivazione ai trattamenti e la prestazione migliora quando ci si trova in uno stato d’animo positivo; mantengono e coltivano le relazioni sociali e tornano più facilmente ad una vita attiva.
Gli esiti incerti dei trattamenti, lo stress accumulato dai pazienti e dalle loro famiglie, la fatica, la sofferenza e la frustrazione conducono a reazioni emotive anche molto forti: crisi di pianto, depressione, ansia, rabbia (Hibbard et al., 1998, Parr, Byng, Gilpin, Ireland, 1998). La più studiata di queste reazioni emotive è la depressione. E' molto comune (circa un terzo dei pazienti) (Tuner-Stokes e colleghi, 2005), e persiste spesso anche nelle fasi croniche della malattia, accompagnata da una riduzione della partecipazione sociale, dell’autostima e dalla motivazione (Code & Herrmann, 2003). E’ una condizione caratterizzata da una serie complessa di sintomi: umore cupo per la maggior parte del giorno, significativa perdita di peso (o aumento), perdita o riduzione degli interessi, disturbi del sonno, riduzione dell’appetito, affaticamento, sentimenti di colpa o inutilità, problemi di concentrazione, ricorrenti pensieri di morte.
Tuttavia, ciò che realmente causi la depressione in seguito a danni cerebrali è ancora materia di accese controversie. La depressione può essere causata direttamente dal tipo di lesione celebrale, dalla sua localizzazione ed estensione. La lesione, infatti può modificare, distruggere o interferire con il delicato equilibrio neurobiochimico che sottostà alla normale esperienza emozionale (Code & Herrmann, 2003). Questo però non ci consente di escludere che si possa invece trattare essere di una risposta naturale ai deficit fisici e disturbi comunicativi e cognitivi che possono seguire l’ictus (Code & Herrmann, 2003). Code e Herrmann (2003) propongono un modello per l’analisi delle cause delle depressione nell'ictus. Questo modello si basa sulla scansione temporale con cui può presentarsi l’esordio della depressione. Gli stessi autori, tuttavia, si preoccupano di sottolineare che le risposte all’ictus rimangono comunque uniche e individuali, lasciando quindi ampio spazio alle sfumature personali. La depressione, secondo il loro modello, nelle fasi acute (0-3 mesi post-ictus) sembra principalmente correlata con la sede lesionale, più che con la gravità del deficit cognitivo o la qualità e quantità del supporto psico-sociale di cui si dispone. Si parla in questo caso di depressioneprimaria”.
Nei sei mesi successivi, la correlazione tra depressione e gravità dei deficit cognitivi e motori cresce fortemente, portando gli autori a definirla “reattiva o secondaria”. Secondo Herrmann e Wallesch (1993) esistono due categorie di persone particolarmente a rischio di sviluppare una depressione reattiva: i primi sono coloro che inizialmente hanno negato le conseguenze dell’ictus e in un secondo momento si trovano a fronteggiare l’intero spettro delle loro disabilità sociali, cognitive e funzionali. Il secondo gruppo è costituito da coloro che avevano creduto in un rapido recupero e si rendono conto che possono dover fronteggiare i loro deficit periodo molto lunghi, se non per sempre.
La parte più interessante del modello prevede un terzo tipo di depressione, quella terziaria, che spesso si presenta nel passaggio dall’ospedalizzazione a casa. Il ritorno a casa è vissuto spesso come un segnale che la guarigione è iniziata e come tale è spesso accompagnata da un senso di sollievo. Ma proprio nel momento in cui si tenta un reinserimento nella realtà e nella struttura sociale che caratterizzava la normalità della vita pre-ictus, ci si trova costretti, forse per la prima volta, ad affrontare il vero impatto della compromessa capacità di comunicare
Bibliografia
Code, C., & Herrmann, M. (2003). The relevance of emotional and psychosocial factors in aphasia to rehabilitation. Neuropsychological Rehabilitation13(1-2), 109-132.
Herrmann M., Wallesch C.W., “Depressive changes in stroke patients“ in Disability and Rehabilitation, 15, pp 55-66, 1993
Hibbard, M. R., Uysal, S., Keple, K., Bogdany, J., & Silver, J. (1998). Axis I psychopathology in
individuals with traumatic brain injury, Journal of Head Trauma Rehabilitation, 13, 24-49
Parr, S., Byng, S., Gilpin, S., & Ireland, C. (1997). Talking about aphasia: Living with loss of language after stroke. McGraw-Hill International.
Seale, G. S., Berges, I. M., Ottenbacher, K. J., & Ostir, G. V. (2010). Change in Positive Emotion and Recovery of Functional Status Following Stroke. Rehabil Psychol55(1), 33-39.
Tuner-Stokes L., Kalmus M., Hirani D., Clegg F., The Depression Intensity Scale Circles (DISCs): a first evaluation of a simple assessment tool for depression in the context of brain injury” in J. Neurol. Neurosurg. Psychiatry, ,76;pp 1273-1278, 2005 
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